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sabato 5 marzo 2016

LA RESILIENZA DELLE BAMBINE E DEI BAMBINI DETERMINA IL LORO FUTURO

Le avversità possono essere delle formidabili occasioni 

https://youtu.be/2j_5Le9kg54   resilienza è risalire


   Di resilienza si sente parlare sempre più spesso.  
Il suo significato rimanda a un concetto complesso  e a una capacità affascinante che appartiene sia ai sistemi ecologici, biologici e sociali, sia alle singole persone: riguarda il risorgere e il risollevarsi dagli eventi negativi.
"Quelllo che non uccide ci rende più forti"" l'ha scritto nel 1888 il filosofo tedesco  Friedrich Nietzsche.

La saggezza popolare condensa il concetto intrigante della resilienza nel motto mi piego ma non mi spezzo”.
 Rende bene il significato: la capacità di adattamento, l’adozione di nuovi comportamenti dopo aver preso coscienza che i precedenti hanno fallito o sono insufficienti, il sapere affrontare e superare le avversità della vita. 



Esempio di resilienza 'collettiva' in passato è stata la capacità del popolo italiano di risollevarsi da una dittatura e da una guerra catastrofica creando la repubblica e un benessere nuovo
Un altro esempio, questo  'individuale',  è di chi, avendo superato un tumore che poteva essere mortale,  trae dalla malattia la forza e la volontà di aiutare gli altri. 
La resilienza è una capacità umana fondamentale, che permette di perseguire mete e obiettivi con determinazione e perseveranza, di fronteggiare sconfitte e difficoltà senza perdere la speranza, di apprendere dagli errori, di uscire dalle crisi rinnovati e più forti.  
Quante volte nella vita abbiamo sentito dire o detto: “sbagliando s'impara”? 

I nostri  bimbi, però,  iperprotetti  sempre più spesso non appaiono  in grado di affrontare le minime paure e difficoltà della vita quando invece  lo richiede  un mondo irto di difficoltà e insidie quale essi vivono oggi.  
Tenuti al sicuro da problemi, difficoltà e fatiche crescono senza sviluppare anticorpi  e senza mettersi mai in discussione. 
Finché la realtà non li urta con tutta la sua durezza, trovandoli incapaci di reagire.  

Prepararli si può e si deve.

 Non entro nel merito delle patologie, causate da ferite emotive:  non ne ho le competenze e non voglio certo avere la presunzione di sostituirmi allo psicoterapeuta . 

Mi limito ad alcune osservazioni generali dal punto di vista dell’educatore
Una ragazzina di prima liceo che conosco bene, bocciata a giugno l’anno scorso, si è sentita messa all’indice di fronte ai suoi coetanei e aveva perso ogni fiducia in se stessa. La vicinanza ‘accorta’ dei genitori che hanno razionalizzato il suo problema anzicché deprecarlo e non hanno colpevolizzato la ragazza, le hanno consentito, gradualmente, di ritrovare l’autostima in un nuovo confronto scolastico, con la  scoperta di qualità che non credeva di avere e senza ‘fuggire’ in un altro istituto scolastico. Un caso di resilienza che deve partire sempre dal soggetto colpito e deve avere attorno  un mondo di relazioni positive.  

Se pensiamo ad un bambino che sta imparando a camminare, notiamo che la sua curiosità e volontà di riuscire gli impedisce di fermarsi per le innumerevoli cadute ma che al contrario lo sprona a continuare fino alla riuscita per poi essere beneficiato da quel cambiamento che lo ha portato ad una importante autonomia. Il camminare da solo! Se invece noi genitori non resistiamo all’intervento e ci intromettiamo di continuo 
per “aiutarlo” a rialzarsi evitando di farlo cadere, lo priviamo delle sue caratteristiche resilienti che gli permetterebbero di risolvere il problema.
Il nostro compito è di incoraggiarlo, focalizzandoci sulle sue qualità e non sui suoi limiti.



Del resto,  in un momento storico come quello che stiamo vivendo, che ci costringe a rivedere la nostra idea di un benessere dato quasi per scontato e detta alle nuove generazioni sfide importanti, nel lavoro e nella vita sociale, siamo chiamati come genitori, insegnanti, educatori, attraverso il nostro esempio,  a stimolare nei  nostri figli, nei nostri alunni ,  la capacità di superare  le frustrazioni trasformandole nella base di partenza per nuove affermazioni .



 E’ dunque necessario che ogni bambino, ogni ragazzo affronti con le proprie forze i problemi che ha davanti all’interno di un contesto che lo sorveglia e lo aiuta discretamente a casa e a scuola.

Per quanto riguarda il ruolo di quest’ultima, non ho dubbi;   la  “scuola amica” va nella giusta direzione. 

Essa  si incentra  sull’ascolto , sulla partecipazione attiva,  sul protagonismo dei ragazzi, per aprire agli allievi,  contro l’indifferenza , il grande male del nostro tempo ,  la  strada dell’assunzione di responsabilità,  della cittadinanza attiva, della cooperazione, della solidarietà, nella consapevolezza che ciò comporta  impegno.

Le inevitabili sconfitte e le frustrazioni sono il percorso attraverso il quale si deve innescare il processo di resilienza.  Il tutto si interseca  con un ambiente   accogliente, gratificante, sicuro, valoriale (scuola di don Milani: non uno di meno) dove ogni  studente  con orgoglio si identifica.

La scuola della resilienza  prima di tutto insegna a vivere

Donata Albiero                                                            5 marzo 2016






3 commenti:

  1. Il tema della resilienza comporta una azione che si contrappone alla “caduta”. Per questo è importante che gruppi di persone motivate comincino a costruire concretamente delle realtà di transizione che non aspettano cambiamenti generali dall’alto della società ma operano localmente su aspetti di degrado trasformandoli in nuove risorse. Resilienza può essere trasformare un’area degradata in un orto biologico modificando le abitudini alimentari di un quartiere oppure aprire una scuola di strada dove è più presente l’abbandono scolastico, rimotivando bambini di periferia; può essere formare una band con strumenti riciclati e ancora insegnare la lingua agli stranieri. Insomma è resilienza tutto ciò che può trasformare hic et nunc la vita delle persone. Ma è anche resilienza far crescere i livelli di coscienza di una società in modo da promuovere nelle persone il desiderio di cambiamento. E’ quello che facciamo anche noi, contrapponendo ad una cultura di disimpegno, di egoismo e di esclusione una visione inclusiva dell’esistenza. Non si tratta di costruire l’immagine di nuovi nemici ma di iniziare processi positivi che partono dalla presa di coscienza e, tante volte, lo spunto ci viene proprio dalle osservazioni dei nostri bambini da cui abbiamo molto da imparare.
    Giovanni Fazio

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  2. Il mio corto parla di resilienza e attitudine al cambiamento.
    È stato proiettato in molte scuole italiane.
    Sono a vostra disposizione in caso vi interessi.
    www.ilrigorista.it

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