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giovedì 30 marzo 2017

LENTAMENTE MUORE

A MORTE DEVAGAR 
    https://youtu.be/Go_aOIFwz74     (recita Nando Gazzolo )



Capita che ti prenda la tristezza e lo sconforto se quello che fai come cittadina attiva,  in difesa della scuola pubblica , della salute e dell’ambiente, che ritieni utile per la comunità di cui fai parte,   non è compreso dagli altri o sottovalutato. 
Che senso ha la tua battaglia, ti chiedi, se lottare, battersi per un ideale, consumare ore del tuo tempo libero in piazza, nei gazebi, per volantinare e informare pare non produrre cambiamento e interesse nelle persone che incontri ogni giorno ?  

Capita.

Poi incontri  Martha Medeiros , scrittrice brasiliana,   ti perdi nel  suo capolavoro “Lentamente muore”, una poesia che è un’ode alla vita, che ti avverte come  una vita non vissuta non fa altro che avvicinare l’uomo alla sua sconfitta, alla morte.  
Ti rassicuri leggendo questa sua poesia: ti entra nelle ossa, ti si arrampica nella testa e ti fa per forza riflettere, ti spinge a cambiare punto di vista, ti spinge a non mollare.

E ti vedi come vuoi non essere.

Non vuoi lasciarti sopraffare dall’abitudine, dal ripetersi inesorabile di ogni attività, giorno dopo giorno. 
Sai che proprio allora uccidiamo, lentamente, giorno dopo giorno, le nostre emozioni e i nostri sogni, limitandoci quindi a sopravvivere, non a vivere. 

E capisci                                                  


Ognuno di noi spegne lentamente la sua vita se si chiude nella propria routine, nel proprio attuale modo di essere senza essere aperto a nuove possibilità, a nuove idee, al conoscere, all'emozione d scoprire. 

E io non voglio ‘lentamente morire”

Ritorno in piazza, come cittadina attiva, insieme agli altri che ci credono, che sperano e vogliono cambiare il mondo...

 Donata Albiero  



A MORTE DEVAGAR 

Lentamente muore
chi diventa schiavo dell’abitudine,
ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi,
chi non cambia la marcia,
chi non rischia e cambia colore dei vestiti,
chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente
chi fa della televisione il suo guru.
Muore lentamente chi evita una passione,
chi preferisce il nero su bianco
e i puntini sulle “i”
piuttosto che un insieme di emozioni,
proprio quelle che fanno brillare gli occhi,
quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso,
quelle che fanno battere il cuore
davanti all’errore e ai sentimenti.
Lentamente muore
chi non capovolge il tavolo
quando è infelice sul lavoro,
chi non rischia la certezza per l’incertezza
per inseguire un sogno,
chi non si permette almeno una volta nella vita,
di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore
chi non viaggia,
chi non legge,
chi non ascolta musica,
chi non trova grazia in sé stesso.
Muore lentamente
chi distrugge l’amor proprio,
chi non si lascia aiutare
chi passa i giorni a lamentarsi
della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore
chi abbandona un progetto prima di iniziarlo,
chi non fa domande sugli argomenti che non conosce o non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi,
ricordando sempre che essere vivo
richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l’ardente pazienza
porterà al raggiungimento di una splendida felicità.




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sabato 25 marzo 2017

VIOLENZA E BULLISMO FIGLI DI UNA SOCIETA' MALATA

   Il guerriero          https://youtu.be/fK8LrzzC4-8


Continuano a verificarsi nella nostra società episodi di violenza fine a se stessa, che non trovano alcuna giustificazione sociale e morale.















A fare le spese del clima brutale in cui viviamo sono quasi sempre i più deboli: i bambini, i vecchi, gli stranieri, le donne, i poveri. Siamo spinti a pensare che la violenza diffusa dipenda in parte dai modelli che gli stessi media e la pubblicità ci trasmettono: il maschio vincente, la donna aggressiva e “performante”, “l’uomo che non deve chiedere mai”.             
 Oggi, tutti desideriamo stare sotto i riflettori, essere famosi, essere qualcuno, con qualsiasi mezzo,
 vincendo il premio Nobel, esibendoci al Grande Fratello, o mettendo a ferro e fuoco uno stadio. E per raggiungere il nostro obiettivo siamo disposti a sgomitare, ad aguzzare i denti, a calpestare il corpo e l’anima di chiunque.
 L’arroganza, la prepotenza, sembrano oggi diventate delle virtù da ammirare e da coltivare. Prevale l’orgoglio, chi non ce la fa perde e merita soltanto il nostro disprezzo o la nostra indifferenza.

A fronte di tali drammatiche problematiche di violenza e di prepotenza che possono sfociare nel bullismo (adulto e adolescenziale) si suole opporre, di solito, nell'immediato, clamorose dichiarazioni d'intenti, analisi sociologiche non meditate, giustificazioni psicologiche superficiali e motivazioni politiche partigiane, tendenti ad attribuire la causa degli eventi a forze avverse non meglio specificate. Dopo qualche tempo tutto viene archiviato e trasferito nel dimenticatoio: “archivio virtuale che non eserciterà più, per sua intrinseca natura, alcuna   influenza sull'opinione pubblica, già di per sè mentalmente intorpidita dalle massicce e convulse dosi di informazioni quotidiane …e tutto resta come prima …fino al ripetersi fatale di ulteriori episodi  di violenza"  (Saro Borgia)



 La prepotenza che può sfociare nel  “… bullismo è figlio di una ignoranza, di una arroganza, di una diseducazione alle quali purtroppo la tv concorre in modo potente. Non parliamo poi della Rete dove l’anonimato incoraggia ogni sorta di dileggio. Anche nei dibattiti politici, un tempo molto corretti, e nei talk show, hanno cominciato ad imperversare personaggi che fanno dell’insulto, dell’oltraggio, della villania, della diffamazione la loro fondamentale “qualità televisiva”, si lamenta un lettore di Repubblica in una lettera aperta il 22 03 2017 .

Che fare? 
Una sorta di impotenza: è ‘l’aria generale’ che tira risponde C. Augias
 ”Penso alle aule parlamentari e agli spettacoli spesso indecenti che vi hanno luogo in termini sia
 di favori scambiati sia di comportamenti violenti o oltraggiosi. L’aula della Camera ospita spesso classi di adolescenti in visita, spesso bisognerebbe vietarla ai minori di 18 anni. La cinematografia televisiva quasi per intero. 
Invito a una prova: scanalare velocemente col telecomando, contare quante sparatorie e scazzottate si vedono. Le risse del resto piacciono, fanno aumentare l’ascolto, il dibattito in studio spesso assomiglia a due ubriachi in strada che reggendosi male sulle gambe se ne dicono di tutti i colori. Chi passa un minuto si ferma, un sorriso se lo concede. Poiché sull’ascolto si misura il compenso dei conduttori oltre che la fortuna della rete, nessuno ha interesse a far moderare i toni e a togliere la voce a chi esagera. Sarebbe facilissimo, basterebbe chiudere il microfono per trasformare l’urlatore in un pesce da acquario. Proseguo: il livello molto basso di acculturazione media che tende a incoraggiare consumi e passatempi di infimo livello, scoraggiando per esempio la lettura dei quotidiani più seri. Le famiglie, spesso assenti o incapaci di educare... Eccetera”.

Aggiungo io, criminalizzare il bullo di turno è un modo per nascondere la faccia di una società, che è il contesto in cui esso si manifesta.

Si tratta di un malessere, espressione dell’ambiente deprivato di valori umani in cui vivono molti ragazzi. L’odio razziale, la discriminazione religiosa, l’intolleranza verso il diverso, l’egoismo, la canea contro i migranti e tante altre manifestazioni di disumanità sono il terreno in cui i germi del bullismo si sviluppano. Se è giusto colpire e insultare chi scappa dalla guerra e dalla fame è altrettanto logico infierire sull’elemento debole di turno che si trova a portata di mano.



Chi predica vento raccoglie tempesta.
Il bullo non è altro che l’autoritratto (oggi diremmo “selfie”) di una società che ha smarrito se stessa.

Colpevolizzare o punire serve a poco.  
 E’ necessario un confronto culturale permanente per contrastare il degrado morale e etico di una società che ogni giorno si esprime nella violenza o\e nel bullismo, ripristinando  il rispetto delle regole e del bene comune e cominciando dalle piccole cose, dagli aspetti più minuti della vita quotidiana. Mi permetto di suggerirlo ai genitori in primis e in seconda battuta ai docenti.


Donata Albiero 

sabato 11 marzo 2017

LE NUOVE PAURE DEI BAMBINI E DEI RAGAZZI

  F   
COME CURARLE ?  

Favole terapeutiche per "curare" le paure dei bambini   https://youtu.be/IqKHvbGBdMA

 Alla ricerca di libri per i miei due nipotini che, in forma di favole affrontassero il discorso delle “paure” tipiche dei bambini della prima infanzia e desse loro strumenti di autostima per superarli ho pensato in queste ultime settimane alle paure che avevo io più di 50 anni fa quando ero piccina, alle paure, per così dire ‘classiche’ che hanno attraversato intere generazioni dei bambini.


Ho cercato,educativamente, di affrontarle,  come direttrice didattica, nella scuola da me diretta assieme alle maestre delle scuole materne ricorrendo  a corsi di formazione promossi con psicologi e psicoterapeuti  rivolti a insegnanti e genitori sulla tematica, a  progetti di continuità scuola materna ed elementare (cinque e sei anni)  con la costruzione di libri contenenti  favole scritte da genitori e insegnanti formati e con le illustrazioni dei loro  bambini (“Le Fiabe dell’Arcobaleno”: progetto Arcobaleno, anno scolastico 1994/95 e “L’invenzione di favole per la prevenzione del disagio giovanile”: progetto Ragazzi 2000 nelle prime elementari , con particolare attenzione al  tema della morte e delle malattie, a.s. 1995/96)  

Poco più di vent’anni fa.

Nella mia infanzia, ricordo gli orchi, le streghe, i draghi, l’uomo nero, il diavolo, mostri  che evaporavano alla luce del giorno; battaglie notturne che noi bambini perdevano e vincevano ai confini dell'immaginario per diventare realmente più forti, più grandi. Adesso anche è così.
E , ieri  come oggi, si può cercare un rimedio alle paure parlando soprattutto con il corpo.

Lawrence J. Cohen, un famoso psicologo americano che ha studiato per lo più i messaggi passati attraverso il gioco arrivato anche nelle librerie italiane con Le paure segrete dei bambini”» (per Urrà Feltrinelli), offre un sommario di tecniche per aiutare a superare le angosce infantili. Giochi come il cucù, il nascondino o i molti ciao e arrivederci con bambole e peluche che appaiono e scompaiono da dietro la schiena della mamma aiuteranno i piccolissimi che non vogliono andare alla scuola materna, ma anche a rifuggire dall’ansia che li assale ogni volta che c’è da provate qualcosa di nuovo: l’acqua del mare, un cibo diverso da quello di casa, la prima scelta da fare da soli.

Mi preoccupa però la lenta trasformazione che è avvenuta negli ultimi decenni del “lupo cattivo":  
ha sempre meno l'aspetto di Ezechiele che rincorre i tre porcellini. Somiglia invece terribilmente ad un kamikaze imbottito di dinamite che fa saltare in aria la scuola, l'autobus, la metropolitana, l'aereo. Oppure, è più vicino, è già qui: è quel signore gentile che fa giochi proibiti; è qualcuno che mette varechina nell'acqua, o che fa buchi nel cielo e rende irrespirabile l'aria.


Al largo della loro infanzia, i bambini, oggi, vivono nuove paure: storie di mostri, trappole, inganni e sciagure che giungono loro in diretta da un mondo realmente bellicoso, insidioso, ostile; in diretta dalla TV, dalla vita, dove l'angoscia è un presente senza più punti fermi se anche i genitori litigano, si detestano, si separano.
Nessun luogo è sicuro per nessuno.
Quelle di oggi son paure suscitate da una mancanza di sicurezza.
Rispetto al mondo in cui ero bambina io più stabile e dai confini più definiti, oggi ci troviamo a vivere in una realtà che improvvisamente deflagra, si scompone, ci minaccia: paura di attentati, di viaggiare, di uscire all'esterno, di chi è diverso per colore della pelle.
La guerra, le bombe, la perdita della casa e dei genitori, il sangue, le malattie, la miseria, la droga, la morte, i ladri, gli extracomunitari, gli zingari, gli incidenti stradali, gli uomini che fanno del male, che rapiscono, che violentano i bambini, la solitudine... eccole le nuove paure secondo il pediatra Marcello Bernardi che in un libro scritto con la pedagogista Pina Tromellini - "La tenerezza e la paura" - affermava: "Le paure "immaginarie" del baubau, del lupo, dell'uomo nero, dell'orco sembrano quasi anacronistiche se paragonate a quelle che hanno i bambini di oggi".
 Era il 1996. Prima delle Torri gemelle, prima dell'Afghanistan, di Bin Laden, prima di Saddam, dell'Iraq e delle decapitazioni... Era prima.

Le paure degli adolescenti, poi, sono cambiate e diventate più drammatiche, un po’ per colpa nostra un po’ perché i ragazzi di oggi sono i primi ad aver vissuto sulla propria pelle la crisi, e a rendersi conto delle difficoltà dei genitori.
Particolarmente interessante una analisi sulle paure tra gli adolescenti, una età difficilissima che ho conosciuto bene negli ultimi dieci anni in cui ho guidato la scuola media e il CTP (Centro Territoriale di educazione permanente per Adulti dove ragazzi sedicenni difficili ed emarginati cercavano di finire gli studi dell’obbligo)    
Scrive Vera Schiavazzi: “ Secondo una ricerca finita dall’Agippsa nel 2015 (Associazione gruppi italiani di Psicoterapia Psicoanalitica dell’Adolescenza) su 483 studenti degli ultimi anni di liceo sparsi tra Milano, Parma e Catania, il 54,35 per cento dei ragazzi intervistati prova «preoccupazione» riguardo al futuro, e il 23,48 addirittura una «forte angoscia».
Matteo Lancini, presidente di Agippsa, spiega: «Si comincia con l’iperinvestire sui figli, che sono spesso la cosa più importante della famiglia. Basti pensare a come sono cambiate le nostre amicizie: prima i nostri figli giocavano con i figli dei nostri amici, ora siamo noi a costruire le amicizie fin dall’asilo nido coi genitori dei compagni che loro preferiscono. Poi i più piccoli assorbono un’idea di successo e di narcisismo che li convince che è il benessere la cosa più importante ».
E quando arriva l’adolescenza non c’è più il normale conflitto, la ribellione dei figli contro i genitori, ma semmai l’idea che il proprio fallimento sia vissuto con grande angoscia da papà e mamma, e il desiderio di accontentarli.
Intanto però il 50 per cento degli intervistati pensa che il mondo sarà inospitale (guerra, inquinamento e mancanza di spazi verdi sono i tre motivi principali) e il 45 per cento è preoccupato perfino dal superamento del mondo virtuale, cioè quello dove gli adolescenti vivono gran parte della propria vita, rispetto a quello reale” .(i Repubblica ) 
Preoccuparsene tocca, per una volta, soprattutto ai padri: gli intervistatori di Agippsa  hanno verificato che è soprattutto la pressione paterna per far rinunciate i figli ai propri sogni a influenzare negativamente la visione del futuro, mentre la stessa domanda non ha valore statistico se riferita alle madri. 

Alcuni suggerimenti degli esperti mi sembrano utili per noi adulti:  

«Stare accanto a un bambino o a un ragazzo trasmettendogli continuamente l’idea che deve farcela, e che se non ce la farà ora, che si tratti di
un’interrogazione o di una gara di sci, non ce la farà mai nella vita, è il metodo degli adulti già spaventati», dice  Alberto Pellai, medico e ricercatore che si occupa soprattutto di prevenzione (“Baciare fare dire”»,  Feltrinelli Kids, è il suo ultimo libro dedicato alle insicurezze dei maschi).

Comunicare a più generazioni che “non hanno futuro” a causa di problemi economici, sociali, come la fine del posto di lavoro fisso, non è un’operazione che gli adulti devono fare alla leggera. Se c’è una crisi economica, di valori, se c’è una scarsa attenzione alle risorse planetarie come dicono sia politici autorevoli sia i rappresentanti della Chiesa, la colpa è delle generazioni precedenti che non si sono preoccupate di salvaguardare il mondo nel quale viviamo. Questo è un tema di grande importanza per gli adulti.    


E  a proposito dei bambini iperinvestiti narcisisticamente dai genitori, sempre al centro dell’attenzione, sottolineo ancora che, nell’adolescenza c’è il rischio che questo ideale infantile crolli davanti alla realtà. Vengono a crearsi delle difficoltà in una società dove tutti hanno l’obbligo di essere belli, perfetti, ben vestiti. 
Ecco allora sopraggiungere il senso di fallimento, di inadeguatezza (e il rischio di suicidio per la paura di non reggere il futuro) .


Diamo percio' il giusto senso alle incertezze dei nostri ragazzi.                                     

 Soprattutto all’interno dei contesti familiari ed educativi, non lasciar spazio all’errore, non tollerare la frustrazione derivante da uno sbaglio e non permettere la ricerca del proprio modo personale di sperimentarsi, può alimentare vergogna, senso di colpa, senso di inadeguatezza, paura di sbagliare, paura del voto a scuola .

 Concedere la possibilità di un errore non significa eliminare regole e confini, che pure sono fondamentali per i ragazzi, ma significa concedere loro una possibilità per confrontarsi con se stessi e con gli altri in modo sereno e senza enfatizzare le paure che già fisiologicamente sperimentano.
E' un compito arduo,  lo so, ma è il percorso che dobbiamo fare con i nostri figli per aiutarli a diventare grandi 
  Donata Albiero